Sono un ragazzo mediamente sfigato.
In un periodo così distante da sembrare un’altra vita, non ero così.
I miei ricordi mostrano un me stesso più giovane suonare la chitarra in un ristorante italiano in Turchia. Rumori di posate diventati ormai abituali, e l’immancabile bis che i signorotti turchi chiedevano per i “ti amo, ti” di Tozzi.
- Bravo, italiano, bravo! Vieni a suonare anche al mio pub?
- Certo che si può fare! E il compenso, mio buon irlandese?
- Whisky gratis, come se piovesse.
- Affare fatto, Irish. Ma il mio culo te lo puoi scordare lo stesso.
Ero un ragazzo mediamente ricco, abbastanza per fottermene. Abbastanza per essere viziato. Abbastanza per vivere su uno strato di cirri, anziché sulla fredda terra. Abbastanza per spendere tutto solo per trovarmi con un pugno di fumo in mano. Alla lettera.
Ero un ragazzo mediamente allegro e solare.
Interessi, per Dio! Abbiatene tanti, diversi e tutti della medesima importanza. Mi bastava il nuovo disco dei Pearl Jam per passare un pomeriggio. E poi una nottata. E poi un’altra ancora.
E cantavo sempre. Un’ossessione, più che una passione.
- Ma che cazzo vuoi fare della tua vita?
- Perché, se ne può fare qualcosa?
E discutevo per ore e ore con un prete che usava “puttanalclero” come intercalare.
- Hai una bella testa, Claudio, occhio a come la usi.
- Tranquillo, Don, in fondo sono un bravo quaglione.
- Sì, lo so. Ma quanto in fondo?
Risate. Sincere. E la confidenza necessaria per starsene lì, sui gradini della chiesa, uno con un cannone e l’altro col sigaro.
Il prete incazzoso e il ventenne anarchico: che bella coppia.
- Ma come fa tua madre? E spegni quella roba, che puzza.
Ai tempi avrei giurato che si potesse andare sempre avanti così, a stupirsi per un nonnulla e imparare quante differenze possono intercorrere tra le persone.
Poi in un attimo le logiche cambiano, ti trovi sommerso dall’esasperante piattezza dell’affitto/mutuo da pagare, uguale per tutti.
E tutte le multicolori differenze che usavi per crescere si fondono in un lamentoso coro di intolleranze, meschinità e corse al successo.
Ti accorgi che la scalata sociale ti prende dentro anche se non vuoi, e tra te e quel
Sarmigezetusa che tanto poco ti garba non c’è poi questa gran differenza: entrambi persi dietro alla chimera della popolarità, ognuno a suo modo.
E di quello che eri poco o nulla rimane: cancellare, uniformarsi, schnell!
Se tifi il Bologna lo fai per farti notare, se ti fai i cazzi tuoi sei un immaturo, se non sei d’accordo su tutto sei un dissidente, se lo fai notare un demagogo, se ti piace cantare un esibizionista, et cetera et cetera et cetera.
E tu stai lì, placido, che ti permetti giusto di dire “questo mi piace e questo no” e subisci la gogna sia per una cosa che per l’altra.
E ti chiedi perché mai dovresti cercare di far cambiare idea a gente che si sente la verità in tasca.
E soprattutto perché mai per loro è così importante farla cambiare a te.
Ciònonostante poi lo fai lo stesso, non foss’altro per assecondare quella tua fastidiosa abitudine a fare polemica.
E per difendere quel tuo inalienabile diritto, di definire “imbecille” colui che risponde a certi requisiti, piuttosto che ad altri.
Buona vita, comunque, davvero a tutti.