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venerdì, settembre 15, 2006

Fahrenheit 9/11.


Il mondo, come volontà e rappresentazione.

Il buon Arthur era uno di quelli che non ci credevano più di tanto e non lo mandava a dire. Il suo “velo di Maya”, atto a coprire la realtà, in questo particolare periodo storico poi risulta essere estremamente funzionale.

Questa volontà irrazionale, che come unico fine pone la sua autoaffermazione, nell’era della comunicazione globale è un’arma formidabile.
Ed è incarnata da noi poveri stronzi: suggestionabili, affamati di scalpore e sensazionalismi, che assecondiamo passivamente la pigrizia delle nostre mani e della nostra mente e ci beviamo ogni tipo di minchiata ci venga propalata da un elettrodomestico squadrato ormai eletto a complemento d’arredo.

Un cazzo di patetico scatolone con pretese di design.

Lo sa bene George dabeliù, LA merda strisciante del mondo, che costruisce i suoi mattoncini dorati basandoli sulla babbioneria di un popolo isterico e spaventato, sulla ripugnante astuzia di un padre sciacallo e sulla pura e semplice possibilità di farlo.

Possibilità che contribuiamo a creare in nome delle nostre comodità inique, di una scarsa attitudine alla critica che possa anche solo mettere in dubbio lo stato attuale delle cose, di una totale ignoranza del meccanismo azione=reazione: dove l'azione c'è eccome, ma per quanto abbietta ed esecrabile suscita come estrema forma di protesta giusto uno sbadiglio. E un attacco di zapping nel migliore dei casi.

In nome, insomma, del leibniziano concetto del “migliore dei mondi possibili”, che per la maggior parte del becero popolo ha dei connotati simili all’era dell’ottimismo di Tonino Guerra.
Povero Gottfried: hai voglia a costruire un solido sistema di stampo filosofico, se poi lo basi su una fede a priori. Il minimo che ti possa capitare è di venire consegnato ai posteri con la nomea di padre del panglossismo.

Per loro fortuna, comunque, né Leibniz né Schopenauer hanno avuto l’occasione di conoscere questo fantastico continuum spazio-temporale. E non hanno la minima idea di cosa rappresenti la Carlyle Group.

Ma se il tuo sospetto, caro lettore, è che mi sia definitivamente bevuto il cervello, lungi dal cercare di negarlo t’invito comunque a:

A) guardarti il film citato nel titolo del post;
B) stemperare gli entusiasmi che potrebbe provocarti con questo articolo.

E se poi dovessi avvertire un retrogusto comedimerdainbocca, lavalo ascoltando un po’ questa.
Nella foto: armi da distruggere in massa.