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martedì, giugno 05, 2007

L'androide sentimentale.

Nulla ci verrà restituito, lo sai?
Nemmeno le ore di sonno che perdiamo.
Battere tasti... a 'sto punto tanto varrebbe la tisana della nonna.
O una sbronza colossale.

Quanta angoscia si può sopportare prima di esplodere, uomo di latta?
Chi cazzo mai ci dovrebbe salvare?
E perchè?

Siamo il fondo del barile.

Ingranaggi autonomi, paradossi viventi. Pagliacci chiusi in scafandri spaziali dalle minacciose punte. La saturazione degli amplificatori a transistors. Non come quelle testate Marshall dalla calda distorsione valvolare - oh, no davvero! - solo errori di equalizzazione, dissonanze senza possibilità di passare per effettistica. Il terrore del fonico, l'errore tecnico che manda a puttane il concerto. E manco la compiacenza di fingerci dispiaciuti o in colpa.

C'è gente che fa passare la merda nei barattoli per arte, pensa.
Noi si suscita disagio. Attraente, finchè filtrato da uno schermo.
Finchè lo puoi guardare o leggere sbafando pop corn e commentarlo dando di gomito a qualcuno che ti sta accanto.

Qualcuno di sano.
Magari con una bella pelle liscia e giovane.

Ma ad averlo davanti, il disagiato mette a disagio.
Guarda tutti con occhietti piccoli e malvagi.
Porcini, quasi.
E loro non sanno davvero il perchè.
Pensano: "ma che cazzo vuole questo? Ce l'ha con me?"

Bestemmiare come satanassi, farsi il vuoto attorno
e poi lamentarsi che nessuno comprende.

Ah, ma noi non ci lamentiamo: quasi e me lo scordavo.
Noi non dobbiamo chiedere mai.
Noi non chiediamo mai.

Perchè siamo duri&puri e belli_o_brutti_ma_sempre_maledetti
o solo perchè siamo grossi sfigati?

E quindi, se noi non ne siamo capaci,
e dagli altri nulla è lecito aspettarsi o dimandare
chi cazzo mai dovrebbe salvarci?

E perchè?

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Non credo che il problema sia la trincea dello schermo. Perlomeno non solo. Disagi, angosce e solitudini nascono altrove prima di sfogarsi qui. Ricopio qui un paio di righe scritte da Antonia Pozzi nel 1930. Mi paiono azzeccate. Il titolo è "Largo":

"O lasciate lasciate che io sia
una cosa di nessuno
per queste vecchie strade
in cui la sera affonda -

O lasciate lasciate ch'io mi perda
ombra nell'ombra -
gli occhi due coppe alzate
verso l'ultima luce -

E non chiedetemi - non chiedetemi
quello che voglio
e quello che sono
se per me nella folla è il vuoto
e nel vuoto l'arcana folla
dei miei fantasmi [...]".

02:54

 

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