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martedì, febbraio 26, 2008

Nel mondo che immagino, non esistono i copy.

Played il 31.01.2008 alle 14.34

Mia madre era perennemente preoccupata per me.

Una rottura di palle infinita, una tassa.
Tanto più pesante quanto più discreta.

La parola “legame” è precisa.
Le tue mene le sconta anche qualcun altro, proprio come avesse i pensieri attaccati ai tuoi con una fune. A volte mi sembra di aver pensato sempre e solo a come non far preoccupare gli intimi. A come rispettarne i sentimenti. A come non ferirli.

Ottenendo esattamente l’effetto opposto.

Io non ho mai scelto l’amore, mi ci sono ritrovato catapultato in mezzo.
Terzo figlio, assai più piccolo, inevitabilmente cocco. E mica solo di mammà: tutta un’abbondante famigghia avevo, con tanto di cane e gatto.

4 genitori, 8 occhi vigili, 4 sentimenti amorosi dùdù, 4 speranze riposte addosso dàdàdà, 4 opinioni “grandi” da cui ricavare uno spazio per poterci mettere la mia, piccina. Come se per avere una minchia di personalità dovessi basarmi per forza su quel che rimaneva. Sugli avanzi.

Stesso discorso anche e soprattutto sui gusti.

Legami.
Con tutti i loro lati inquietanti, con i loro rischi di possesso.
La solita, odiosa sindrome da proprietà che mischia legami e pastoie.

Non so per che logica di reazione son venuto su legato.
Contorto, obbligato, sperando di potermi fare i cazzi miei, un giorno.
Reclamando il diritto di essere quello che sono, punto.
E per farlo ho usato l’indipendenza come un’arma.

Col tempo ho scoperto che non chiedere nulla a nessuno è solo la mia tattica di comodo per non creare nuovi, ingombranti lacci. Ma ho anche scoperto che non so quello che sono, che la somma delle innumerevoli parti che mi compongono non è il mio totale, che vivere senza volere m’impallidisce le carni e fiacca la mia vitalità.

Tanto per non perdere l’abitudine al paradosso ho corretto la rotta (e chissà quante altre volte capiterà, tra l’altro): la parte che manca, quella per trasformare una mera somma in un totale, deve venire da un’altra persona. Anzi: deve venire con o per un’altra persona.
Ma faccio casino come al solito: mi capita di scomodare grossi concetti con gente minuscola o di sorprendermi a mia volta infinitamente più piccolo e meschino di quanto non credevo poter essere.

In pratica: sono in guerra aperta con la mia stessa volontà.
Come simbolo di quell’ego monumentale che, se ulteriormente rimpinzato, genera le aberrazioni disseminate lungo tutta la storia dell’uomo.

A questo proposito: ci tenevo davvero a cantare.
O a scrivere qui opinioni solo mie, che nemmeno io conosco.
Di cui prendo coscienza mentre rileggo, di cui spesso mi vergogno subito dopo.

Non ce l’ho fatta a fare il cantante, e anche qui i miei propositi si realizzano solo a singhiozzo, ma parmi il mondo averci ben altri problemi per caccare il cazzo con la solfa “sono uno scrittore/cantante/attore/copywriter/imbianchino/blogger superlativo ma nessuno mi capisce”. Lo vedo e leggo fare a tanti, troppi invertebrati. Non mi piace confondermi tra le fila.

Ma come al solito, divago.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

A me non pare ci siano troppe divagazioni, anzi. Mi pare che il concetto sia alquanto chiaro.
Certo, se si vuole rimanere su di un solo livello da [omissis] superlativo allora si capisce ben poco.
E devi dire che questo commento mi è chiaro nel momento in cui si scrivi, giusto per citarti un po' e rimaneggiare.

17:06

 
Anonymous Anonimo said...

Si, probabilmente lo e

04:46

 

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